Scritture migranti https://scritturemigranti.unibo.it/ <p><strong>Scritture migranti – ISSN 2035-7141</strong> si prefigge una risposta politica, partecipata e praticabile, alle difficili sfide di un mondo in trasformazione, dove il movimento, la fuga, l’espatrio, e le loro impronte sull’immaginario, segnano la mondialità dinamica delle traiettorie migratorie.</p> Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica – FICLIT, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna it-IT Scritture migranti 2035-7141 Introduzione. Memoria e identità https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18994 <p>Questo numero di «Scritture migranti» si articola in una serie di contributi di taglio e scopi diversi. Da un lato, esempi di fenomeni artistici giunti dalla letteratura e dal teatro – in una costruzione collaborativa di parole e immagine – esplorano ancora una volta le rappresentazioni della figura del migrante e riflettono sulle implicazioni sociologiche che sorgono dal confronto tra la memoria del passato (intesa anche in senso coloniale) e l’attualità. In tal senso, la varietà insita nei testi qui raccolti dimostra proprio come i processi migratori siano irriducibili a quell’immagine stereotipata dell’identità migrante che spesso è piegata a strumento ben collaudato di propaganda politica e ideologica. Dall’altro, l’indagine della rivista approfondisce i suoi obiettivi con l’introduzione di un nuovo filone di ricerca, improntato sulla linguistica e sulla sociolinguistica, il quale offre un nuovo sguardo – rivolto al rapporto tra identità e società, invenzione e norma, <em>langue</em> e <em>parole</em> – in grado di dettagliare, in maniera approfondita, nella scrittura come nel parlato, le costrizioni simboliche di cui i migranti fanno spesso un’esperienza estrema. Studiare la “lingua migrante”, allora, non può che aggiungere maggiore consapevolezza rispetto alle tensioni sociali che animano il nostro tempo.</p> Silvia Baroni Guido Mattia Gallerani Copyright (c) 2023 Silvia Baroni, Guido Mattia Gallerani https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 i vi 10.6092/issn.2035-7141/18994 Narrazioni incrociate. La Palestina raccontata da E. W. Said e J. Mohr https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18975 <p>Una delle questioni centrali nate dall’incontro tra <em>migration studies</em> e <em>cultural studies</em> è quella legata alla rappresentazione dei soggetti di esperienze traumatiche come quelle delle migrazioni non sicure, delle diaspore, delle guerre, dei disastri climatici. Particolare attenzione è rivolta in questo contesto all’agency di questa rappresentazione, ovvero a chi è il soggetto della storia: chi racconta queste storie, a chi, per conto di chi? Non si tratta di certo di una domanda nuova, ma di una questione che ogni approccio critico alla cultura ha sempre sollevato, dalla critica letteraria agli studi sui media, dalla filosofia politica alla cultura visuale. Partendo dall’incontro tra letteratura e cultura visuale, questo saggio affronta la rappresentazione dell’identità culturale del popolo palestinese attraverso un genere specifico, a metà tra letteratura e fotografia: il fototesto. Nello specifico sarà analizzato <em>After the Last Sky. Palestinian Lives</em> di E. W. Said e J. Mohr (1986), un esempio ancora significativo per il discorso critico sull’identità palestinese. Attraverso la rappresentazione fototestuale, Said e Mohr dimostrano in che modo le espropriazioni, i reinsediamenti e l’esilio hanno influito sulla vita quotidiana e culturale di questo popolo. Soprattutto, questo lavoro si concentrerà sulla necessità per i palestinesi di diventare soggetti della propria storia e di farla ascoltare.</p> Valeria Cammarata Copyright (c) 2023 Valeria Cammarata https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 1 24 10.6092/issn.2035-7141/18975 Pour une odyssée sans retour : Mémoire de la traversée collective au féminin sous la plume de Sylvie Kandé et de Julie Otsuka https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18976 <p>L’épopée<em> La quête infinie de l’autre rive</em> de Sylvie Kandé et le roman <em>The Buddha in the Attic</em> de Julie Otsuka accueillent la mémoire collective de femmes tombées dans l’oubli en retraçant leur épreuve de la traversée maritime. Cet article se demande comment l’écriture de la traversée favorise la constitution d’une mémoire collective tout en renouvelant les représentations des migrantes. La narration chorale d’Otsuka et la polyphonie textuelle de Kandé s’articulent ainsi à l’expérience individuelle, chaque passagère étant plongée dans un entre-deux géographique et identitaire qui nécessite un double mouvement de déconstruction et de construction de soi. Si le périple odysséen est motivé par le retour au pays natal, les passagères de Kandé et d’Otsuka s’embarquent pour un aller simple vers l’inconnu et sont contraintes de se forger une nouvelle identité au fil d’une traversée éprouvante. Enfin, cet article démontre que l’écriture de la traversée participe à la reconfiguration du registre épique notamment à partir de nouvelles figures héroïques féminines mais aussi d’une esthétique « traversière » qui nécessite une définition.</p> Oriane Chevalier Copyright (c) 2023 Oriane Chevalier https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 25 47 10.6092/issn.2035-7141/18976 Il gioco della percezione nella rappresentazione dell’alterità. Il colonialismo italiano e le pratiche artistiche postcoloniali: due casi a confronto https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18979 <p>L’articolo investiga, partendo dal rapporto tra arte e memoria, la progettualità delle pratiche artistiche visuali che lavorano sulle memorie del colonialismo italiano. Saranno esaminati due casi studio delle esperienze di artisti visuali che negli ultimi anni hanno svolto ricerche riguardo la storia e le memorie individuali e collettive che legano l’Italia alle sue ex colonie africane. La costruzione dei dati è avvenuta tramite l’uso dell’intervista discorsiva guidata e l’osservazione delle produzioni visuali degli artisti, questi ultimi intesi come dispositivi di contro-narrazione attraverso cui proporre prospettive diverse della storia coloniale e postcoloniale. Con un approccio critico alla questione coloniale, l’articolo include due autori di generazioni diverse ma ugualmente riconosciuti nel panorama culturale nazionale e internazionale, Theo Eshetu (1958) e Medhin Paolos (1984), rispettivamente di origine etiope ed eritrea, che hanno ripercorso con linguaggi visuali differenti ricordi personali e collettivi che celebrano le loro identità. Il passato coloniale italiano è un argomento che, per una serie di pretesti e decisioni di carattere politico, non è mai emerso in profondità nel dibattito pubblico, ma i suoi retaggi continuano ad avere ripercussioni sociali nel presente. In un clima di cambiamento culturale, motivato dal bisogno di molti artisti neri di parlare in prima persona della propria storia identitaria e culturale, ed evitare che a farlo siano solo voci della cultura (e dalla pelle) dei bianchi, la domanda da cui la ricerca ha inizio è approfondire qual è il ruolo che oggi l’arte visuale sta svolgendo affinché la società italiana possa conoscere e prendere consapevolezza rispetto al suo passato coloniale.</p> Francesca Maria Fiorella Copyright (c) 2023 Francesca Maria Fiorella https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 48 70 10.6092/issn.2035-7141/18979 Storie migranti a teatro. Gabriele Vacis e le pratiche teatrali per la cura della persona https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18982 <p>Il contributo approfondisce alcuni dei progetti teatrali e pedagogici realizzati dal drammaturgo e regista Gabriele Vacis e dall’Istituto di pratiche teatrali per la cura della persona fondato nel 2017, che hanno avuto come protagonisti migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Attraverso l'analisi del lavoro di Vacis, si verifica come l'esperienza artistica, nel restituire pieno diritto di cittadinanza alle parole e ai corpi dei migranti, possa costituire una forma di narrazione alternativa rispetto ai discorsi e agli sguardi irreggimentati sulla migrazione proposti dai media e dalle narrazioni dominanti. Si esaminano, in particolare, i due progetti “Pensieri Migranti” e “Colloqui d’amore” realizzati nel biennio 2017-2018. Sono gli strumenti del teatro che Vacis impiega per moltiplicare, anche al di fuori del teatro e a prescindere talvolta dagli esiti spettacolari, le possibilità di inclusione e di partecipazione attiva dei migranti. Il primo di questi strumenti è la Schiera, marca distintiva del suo teatro, intesa come pratica di educazione alla relazione con l'altro nella sua radicale alterità, senza tentativi di annessione o annullamento, ma nel segno dell'ascolto, dell'attenzione e di quel rispetto che Emmanuel Lévinas individua come base imprescindibile di ogni relazione autenticamente etica.</p> Angela Albanese Copyright (c) 2023 Angela Albanese https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 71 95 10.6092/issn.2035-7141/18982 Multilinguismo letterario ed educazione linguistica https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18978 <p>Partendo da alcune considerazioni sul rapporto tra lingua e letteratura, il contributo passa poi a descrivere come quest’ultima, in quanto specchio della società, nel corso degli ultimi due decenni sia diventata sempre più multilingue e multiculturale, come, appunto, la società che rappresenta (“<em>multilingual turn</em>”). Vengono successivamente illustrate le scelte eteroglottiche di alcuni noti scrittori, molti dei quali addirittura vincitori di premi Nobel con opere pubblicate non nella loro lingua materna, provando a darne una interpretazione socio- e psicolinguistica e politica. Come conseguenza, anche il ruolo stesso del parlante nativo viene rimesso in forte discussione. Nel penultimo paragrafo si introduce il concetto di <em>multilinguismo letterario simultaneo</em>, da intendersi come risposta letteraria del vissuto quotidiano di molti autori. In conclusione, si propongono alcune riflessioni in merito al valore e al potenziale linguistico-educativo della svolta multilingue della letteratura.</p> Matteo Santipolo Copyright (c) 2023 Matteo Santipolo https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 96 110 10.6092/issn.2035-7141/18978 Nadejda Teffi : la langue russe en exil https://scritturemigranti.unibo.it/article/view/18977 <p>On peut expliquer la méconnaissance de Nadejda Teffi par les lecteur·ices français·es par le fait qu’elle publia exclusivement en langue russe, même après son départ définitif de Russie en 1918. C’est sur le terrain de la langue que nous proposons de mener notre réflexion, en tant qu’elle fut pour Teffi un enjeu de débat politique majeur, dans lequel elle prit position contre d’autres auteur·ices émigré·es, mais également un champ d’expérimentation poétique infini et fécond. Sur le pan métalittéraire, la langue russe en émigration a immédiatement été pensée par la diaspora comme un moyen de concurrencer la langue soviétique telle qu’elle se développait en Russie. La tentation de l’hypercorrection et du conservatisme d’une prétendue pureté de la langue constitue selon Teffi un péril pour la création littéraire et pour la formulation d’idées nouvelles. Sur le plan poétique ensuite, cette situation de diglossie est l’occasion pour Teffi d’une réflexion sur le génie des langues, et sur la non-correspondance entre les objets et les signes, plus particulièrement les signes traduits. Teffi nous entraîne dans un processus d’estrangement – <em>остранение</em> – à rebours, un exil langagier où la langue maternelle, familière et rassurante, ne parvient plus à désigner les objets devant lesquels elle reste impuissante.</p> Valentine Meyer Copyright (c) 2023 Valentine Meyer https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0 2024-01-30 2024-01-30 17 111 127 10.6092/issn.2035-7141/18977