La banalità del mare. Frontiere, quarantena e navi da crociera ai tempi del COVID-19
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2035-7141/13874Parole chiave:
Mediterraneo, COVID-19, Navi, Quarantena, MigrazioniAbstract
Definire la migrazione significa tracciare una linea tra Stati e convenire non solo che quel confine è stato attraversato, ma anche se ad attraversarlo siano stati migranti, richiedenti asilo, turisti, vagabondi o viaggiatori. Come viene definita da Alessandro Leogrande (2015), la frontiera è quindi «una linea fatta di infiniti punti, infiniti nodi, infiniti attraversamenti. Ogni punto una storia, ogni nodo un pugno di esistenze. Ogni attraversamento una crepa che si apre». Questo contributo si propone di andare ad esplorare quelle crepe, entrando nelle loro fenditure più profonde. Teatro di tale analisi sarà una delle frontiere più spettacolari, e allo stesso tempo spaventose, degli ultimi anni: il Mar Mediterraneo. Cosa significa attraversare i confini al tempo del COVID-19? A fronte della pandemia che ha chiuso sempre di più le frontiere, tutti gli stranieri erano uguali? Da un lato i turisti, percepiti come fonte di sostegno economico e guadagno, hanno attraversato frontiere e svolto quarantene fiduciarie. Dall’altro lato, le navi-quarantena sono nate per fronteggiare l’emergenza sanitaria, isolando i migranti arrivati in Italia via mare. Il paradosso che lega insieme migranti e turisti si situa proprio nel Mar Mediterraneo, dove migranti svolgevano la quarantena obbligatoria in navi da crociera un tempo destinate a lustro e diletto dei turisti. Partendo dall’esperienza professionale e personale della ricercatrice sulle navi quarantena, questo contributo si posiziona al largo del porto di Augusta (Sicilia), andando ad indagare la dicotomia migranti-turisti durante il COVID-19.
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